lunedì 13 maggio 2013

Risponde l'oncologo


Paolo Marchetti
Direttore U.O.C. Oncologia Medica Ospedale Sant'Andrea


E' corretto parlare di chemio-terapia palliativa? Con quali costi fisici per il paziente ed economici per il SSN può essere attuata?

Da un punto di vista lessicale, è corretto parlare di "terapia palliativa" ogni volta che il trattamento che proponiamo ad un Paziente "attenua i sintomi di una malattia, ma non ne rimuove la causa" (Dizionario Sabatini Coletti). Quindi, è corretto usare questo
aggettivo ogni volta che la chemioterapia che proponiamo al Paziente non è in grado di "guarire". Tuttavia, nel linguaggio quotidiano, il significato di questo aggettivo è percepito come "rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema, ma inadeguato a risolverlo definitivamente." Quindi, anche se corretto per la maggior parte delle terapie oncologiche impiegate in una fase avanzata di malattia, questo termine è vissuto dal Paziente e dalla sua famiglia come una dichiarazione di "resa" da parte del medico. Nella mia pratica clinica preferisco non usarlo, visto il carico emotivo inutilmente negativo che induce. Offro questa possibilità terapeutica ai Pazienti indicandola come "capace di ridurre i sintomi". Spesso, l'attenzione per le parole può aiutare i Pazienti in un momento difficile della malattia. 
Se, da un punto di vista clinico, è corretto utilizzare una terapia volta a controllare i sintomi, quando ci troviamo nell'impossibiiità d guarire la malattia, ben altro discorso è l'accanimento terapeutico, che si verifica ogni volta che utilizziamo una terapia che non è più in grado di offrire alcun vantaggio per il Paziente. Perché viene proposta? Molto spesso per l'incapacità del medico di affrontare comunicazioni difficili. La preparazione universitaria è molto poco attenta ai temi della comunicazione. Nel nostro Master di Psico-oncologia e Comunicazione con il Paziente insegniamo ai Medici come riuscire a discutere con il Paziente e la sua famiglia anche d temi difficili e complessi, come la comunicazione del momento in cui le terapie dirette contro il tumore sono divenute inutili e devono essere interrotte. In questo contesto, a volte vengono proposte al Paziente terapie, anche molto costose, che trovano una loro giustificazione solo nell'incapacità del medico di gestire situazioni emotivamente complesse. Ciò determina un ingiustificato aumento delle spese, a cui corrisponde un danno per il Paziente che soffrirà di inutili effetti collaterali. In questi momenti della malattia il medico deve essere in grado di offrire al Paziente una possibilità di controllare i sintomi, non necessariamente attraverso la chemioterapia o terapie dirette contro il tumore. A volte alcuni oncologi dicono al Paziente o ai suoi familiari: "Non c'è più nulla da fare!". Questa affermazione colpisce drammaticamente il malato oncologico e chi condivide con lui questo difficile percorso, in un momento in cui, al contrario, c'è moltissimo da fare! Il medico deve affrontare i tanti problemi che il Paziente oncologico presenta nella fase più avanzata di malattia. Oltre alle tossicità inutili, l'utilizzazione della chemioterapia o, peggio ancora, dei nuovi costosi farmaci biologici rappresenta un modo errato di utilizzare le risorse (sempre limitate) del SSN. Quanto spesso alcuni Pazienti riescono ad effettuare solo una o due somministrazioni di nuovi farmaci, perché in realtà non vi è alcuna indicazione al loro impiego? In questi casi sarebbe molto più utile al Paziente impiegare terapie rivolte al controllo dei sintomi, invece che utilizzare terapie inutili (in quel momento di malattia) e costose.

Quali strategie per ricondurre il paziente in fase avanzata di malattia ai trattamenti specifici?

Abbiamo imparato che un trattamento molto impegnativo dal punto di vista della tossicità che induce non sempre è opportuno. Ad esempio, nel trattamento di alcune neoplasie può essere più utile per il Paziente effettuare una sequenza di monoterapie invece che una polichemioterapia. Al contrario, quando un trattamento più impegnativo può convertire una malattia avanzata in una forma suscettibile di trattamenti loco-regionali (come la chirurgia), i maggiori sacrifici chiesti al Paziente possono essere giustificati.

La sospensione dei trattamenti chemioterapici  è solitamente dovuta a mancanza di risposta e/o tossicità, quanto incide invece il rifiuto del paziente, al di là delle condizioni cliniche?

Il rifiuto di una terapia specifica è rarissimo e, molto spesso, dipende dalla incapacità del medico di spiegare i possibili vantaggi in un contesto clinico difficile. Se l'idicazione al trattamento chemioterapico è corretta, il vantaggio per il Paziente è sicuramente superiore agli effetti negativi che può indurre. Riuscire a spiegare e a condividere con il Paziente ed i suoi familiari questi aspetti richiede esperienza e tempo. Nessuno rifiuta una terapia che può aiutarlo!

Il paziente che rifiuta di iniziare o proseguire l'iter terapeutico da chi dovrebbe essere assistito? Un centro di cure palliative è idoneo?

I Pazienti che rifiutano un trattamento specifico (medico, chirurgico o chemioterapico) debbono avere la possibilità di essere seguiti presso lo stesso centro oncologico che ha proposto la cura. Ovviamente, sarà necessario acquisire una idonea documentazione del rifiuto di cure specifiche, che non può esaurirsi in una firma frettolosamente posta sotta la scritta "Rifiuta il trattamento". Il Centro di Cure palliative può collaborare con il centro oncologico di riferimento a trattare questi Pazienti, che, di fatto, non hanno altre opzioni terapeutiche (non perché non disponibili, ma perché rifiutate). Non ritengo che sia opportuno per questi Pazienti abbandonare troppo precocemente un ambiente nel quale l'evoluzione della propria malattia può essere seguita con maggiori potenzialità diagnostiche, rimanendo aperta ad eventuali possibili ripensamenti.                                                                                                                                                                                                                                                                         

Paolo Marchetti
Professore Ordinario di Oncologia Medica
Direttore Scuola di Specializzazione in Oncologia
Facoltà di Medicina e Psicologia
"Sapienza" Università di Roma

Consulente Scientifico IDI - I.R.C.C.S., Roma
Direttore U.O.C. Oncologia Medica, Ospedale Sant'Andrea

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