domenica 28 aprile 2013

Quale ruolo per il volontario di cure palliative?



  Marinella Cellai                                                                           
                                                                                    

L'équipe di cure palliative è costituita da figure professionali con ruoli ben definiti: medico, infermiere, psicologo, fisioterapista, assistente sociale, assistente spirituale. Il volontario, invece, fino a non molto tempo fa era
considerato quasi un "optional" e solo di recente la nuova legge lo include come componente dell'équipe. Si completa così l'offerta di eccellenza, perché vengono dati ascolto ed attenzione anche alle componenti sociali ed assistenziali del dolore globale.
Il volontario in sostanza, pur agendo nella sfera delle sue competenze e sempre in sinergia con l'équipe, deve saper modulare il proprio intervento con grande elasticità, ricoprendo molteplici e variegati ruoli, a seconda dei bisogni dell'unità sofferente, nel "qui ed ora".

Nel tempo in cui il malato fruisce delle cure palliative, o di "sostegno" come si preferisce definirle oggi, il volontario è un compagno di viaggio che ascolta, accoglie, accompagna con attenzione e rispetto, condivisione e tenerezza non solo il malato ma tutta la sua famiglia, cioè l'unità sofferente. Infatti quando c'è un malato grave anche la famiglia si ammala, si avvita su se stessa e ha bisogno di ascolto, attenzione e cura.

Accompagnare significa "stare con", tenere per mano, farsi compagno nel percorso che conduce all'.....attraversamento del ponte con la disponibilità a modificarsi ad ogni incontro. Infatti con il progredire della malattia ogni giornata ed addirittura ogni momento possono essere diversi dai precedenti. Il volontario deve essere dotato di grande sensibilità per saper offrire un gesto di sollievo rispettoso ed efficace, idoneo per quello specifico momento e quella specifica situazione.

Il volontario diventa una figura di fiducia e riferimento per il malato. non indossa il camice dell'operatore sanitario e questo fa sì che il malato lo percepisca come una persona che"sta dalla sua parte" e non si instauri que timore reverenziale che spesso "si indossa"insieme al pigiama impedendo al malato di comunicare liberamente con i sanitari. Questo consente al volontario di essere talvolta tre-d'union tra malato ed équipe.  

Frequentemente si stabilisce un clima di vera affettuosa amicizia e sostegno tra volontario ed unità sofferente. Un'amicizia che deve necessariamente mantenere una certa distanza tra i due elementi della relazione: quella che Marie de Hennezel chiama"una distanza d'amore". Quella distanza cioè che permette la condivisione ma impedisce l'invischiamento e l'identificazione. E non è così facile come potrebbe sembrare in quanto spesso il volontario assume la funzione di "vaso contenitore" di angosce paure, eventuali sensi di colpa, soprattutto del familiare di riferimento. E questo rischia di trascinarlo nel gorgo di tali forti emozioni.

Il titolo di questo articolo è una domanda. Sarebbe coerente chiuderlo fornendo una risposta ma,  ancora una volta, non è facile.

Compagno di viaggio, trait-d'union, figura di riferimento vaso contenitore...tutte definizioni rispondenti alla realtà, ma forse quella che mi piace di più è punto di riferimento inter partes e trait-d'union non solo tra equipe e unità sofferente ma, in maniera molto più "sottile", anche all'interno di quest'ultima. Sopratutto nella fase finale della vita è importante abbattere quel muro che spesso si erge tra malato e familiari, quella sottile e perversa lastra di ghiaccio costituita dalla apparente negazione della realtà che impedisce loro di comunicare nella verità, che fa sprecare il preziosissimo tempo del morire in una sofferta finzione, lasciando che rimangano parole non dette! E' terribile e purtroppo molto frequente. Quando il volontario riesce, con infinita cautela, ad abbattere quel muro, quella lastra di ghiaccio, sente di aver svolto pienamente il suo ruolo.
Vice Presidente Associazione Progetto Città della VitaMarinella Cellai

Responsabile volontariato Hospice S. Antonio da Padova Roma



1 commento:

  1. Cara Marinella, sono d'accordo pienamente con te quando parli di elasticita' e flessibilita' del volontario, utili anche non solo per i diversi ruoli che dobbiamo essere pronti a svolgere, ma anche per essere pronti spesso a ricevere rifiuti e rabbia... e a correre il rischio di sentirsi impotenti ed inutili....ma sappiamo che non e' così, l'importante è esserci, come diceva C.Saunders.....e quando parli di integrazione con l'equipe...argomento che ultimamente abbiamo dovuto affrontare il Hospice, visto che c'e' stato il passaggio della gestione da una cooperativa ad una fondazione . Grazie. Anna Lisa Nucara- volontaria Hospice di Reggio Calabria

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